martedì 20 dicembre 2022

Perchè tutte queste precisazioni? Settima parte di VALUTARE OGGI LA DISCOGRAFIA DEL MILES DAVIS ELETTRICO

George Wein discusses Miles Davis and the Newport Festival

 Dopo aver analizzato parzialmente la genesi dei dischi di Davis, possiamo fare un po' di considerazioni.
La prima cosa che si nota è che è stata cambiata la funzione del disco che è sempre stata quella di riprodurre al meglio i suoni reali. Il disco come mezzo il più trasparente possibile, per cui ascoltare un concerto di Bach o uno di Coltrane dal vivo o a casa propria, non dovrebbe cambiare molto, anche se poi sui dischi in studio dei miglioramenti vengono apportati, magari scegliendo le sequenze mgliori.
Su questi aspetti di miglioramento, è da ricordare l'approccio un po' maniacale di Glenn Gould per creare un "disco perfetto", oggetto artistico irripetitile in esecuzioni concertistiche. Atteggiamento provocatorio che non nasconde le operazioni di perfezionamento ma le enfatizza per ottenere la "perfezione".
Da ricordare anche Lennie Tristano che è arrivato a modificare la velocità di esecuzione di un tema per ottenere uno specifico effetto non realizzabile altrimenti.

Solo col pop però si è verificata la necessità di fare interventi importanti per portare il prodotto finale aun livello accettabile. Inizialmente la motivazione nasceva per via di una scarsa qualità degli interpreti, per cui invece dei musicisti dei gruppi si usavano musicisti di studio, ma per le voci che rimanevano le stesse,necessitavano molti rifacimenti, ritocchi, correzioni, effetti speciali che contribuivano a nascondere le magagne. Successivamente l'utilizzo di effetti speciali e e di montaggi sovrapposti è diventato parte della costruzione del disco pop.
In questo senso la produzione di Davis di quel periodo è assimilabile concettualmente più a un prodotto pop ed è lontana miglia e miglia dall'ideologia del jazz. In fondo questi dischi sono più vicino, come spirito a "Sergent Pepper" che a "A love supreme" o "Kind of Blue".
In ogni caso, il disco passa dall'essere un'accurata riproduzione di una musica suonata effettivamente in quel modo, per diventare il prodotto finale dopo una successiva operazione compositiva che, invece di essere fatta sugli spartiti e in diverse fasi di prove orchestrali, è effettuata in sede di montaggio. Un approccio anche molto vicino alla musica contemporanea seria che lavorava sui registratori ed elettronica,anche se utilizzava materiale più grezzo.
E questa novità ci mette di fronte a un nuovo fatto: nessun live potrà mai essere simile al disco, e non per ovvio differenze di esecuzione, ma per la differenza d'approccio.
E su questa unicità del prodotto musicale finale, è stata costruita una bella fetta di giudizi (positivi e negativi) del percorso del Davis elettrico, dimenticandoci che quei dischi andavano "oltre" la normale produzione, proprio per la loro particolarità costruttiva, ma anche perchè per Miles dovevano essere dei "manifesti programmatici" da mostrare a tutti e da sventolare spregiudicatamente. Eventi speciali su cui si è costruito un mito.

La diffidenza di molti appassionati e critici di jazz non nasceva solo dall'apparente contaminazione col rock per via dei ritmi o del groove, ma anche da questa nuovo atteggiamente nei confronti del disco, ovvero del disco come opera d'arte autonoma.

Potremmo anche dire che Davis ha unito due approcci apparentemente contrastanti (ecco che ritorna il concetto di duale ma anche di antitetico): una libertà d'approccio nel suonare il materiale sinteticamente proposto che poi viene razionalizzata e inserita in un'architettura globale, successivamente in sede di editing: l'improvvisazione jazzistica reinquadrata in una visione meditata di collage sonoro. Un'abile escamotage per produrre musica viva, libera e improvvisata senza perdere il controllo del materiale sonoro finale.

Chissà cosa sarebbe successo se un approccio simile fosse stato adottato da John Coltrane ed Ornette Coleman per le loro opere "Ascension" e "Free jazz".

Esisteva però anche una lunga serie di concerti, quasi tutti documentati (non credo casualmente) in ritardo, e quindi si è via via creata una dinamica tra le due produzioni, con i live che ovviamente, erano prodotti musicali diversi dalle icone registrate. Alcune differenze erano strettamente legate dall'approccio più aggressivo e sintetico (e poco alla ricerca dell'atmosfera) delle esibizioni in concerto, approccio ritenuto indispensabile da Davis per tenere in pugno un pubblico spesso di cultura rock come era quello dei suoi concerti in quel periodo. Nessuna volontà a proporre affreschi ad ampio respiro ma solo musica concretamente legata a un'estetica che cercava l'impatto sonoro. Altre differenze si aggiungevano per via di una dimensione più ridotta dei gruppi e l'impossibilità di riproporre tutte le raffinatezze di studio. Da un punto di vista jazzistico, queste esecuzioni erano ancora nello spirito originario, nonostante le strizzate d'cchio alla musica più giovanile, se non altro per l'alta qualità degli assoli.

Resta da chiedersi quanto abbiano fatto cambiare opinione le pubblicazioni dei cofanetti: essendo arrivate con un deplorevole ritardo, sicuramente non hanno stravolto i giudizi critici, visto che col tempo tutta la produzione elettrica (anche "On The Corner" e successivi dischi) è stata rivista e commentata in maniera posititiva, con le stroncature originarie trasformate in "curiosità d'epoca".
E se il loro apporto non ha quindi dovuto ribaltare giudizi ormai rilbaltatisi nel tempo, questi integrali hanno semmai documentato una fertilità di idee, una voglia di sperimentazione ed una qualità strumentale, che in certi momenti (ad es, il 1969) è sembrata semplicemente mostruosa.
Rimane il fatto che la gestione particolare della discografia davisiana consente tre percorsi di fruizione che possono anche generare confusione:
- I dischi ufficiali di studio (quattro omogenei più un po' di compilation non cronologiche)
- I live ufficiali, quasi tutti pubblicati con grande ritardo

- Gli integrali che ripropongono i dischi nella versione finale e le versioni originali non editate con l'aggiunta del materia inedito e di quello pubblicato nelle compilation.
E questo percorso multiplo complicato, per i giovani che ascoltano Spotify, temo che non sarà spiegato da nessuno.

Forse un cofanetto con un'abbondante sintesi cronologica della produzione ufficiale e di quella riamsta nei cassetti, Una specie di via di mezzo tra la discografia e i cofanetti, aiuterebbe tutti ad inquadrare meglio questo periodo ed a farlo gustare con maggior comprensione.

lunedì 19 dicembre 2022

Live, Live, Live/Evil: Sesta parte di VALUTARE OGGI LA DISCOGRAFIA DEL MILES DAVIS ELETTRICO

 LIVE AT FILLMORE EAST AUDITORUM,NEW YORK 1970/6/19FRIDAY


 
 Recorded live on June 17, 1970 at Fillmore East, NYC

Restano da esaminare due dischi ufficiali, prima della lunga serie di compliation pubblicate.
a) «At Fillmore»
I quattro concerti dati nel giugno 1970 al Fillmore East di New York dal gruppo di Davis uscirono in un doppio lp «At Fillmore», pubblicato nell'autunno dello stesso anno. Teo Macero, produttore-factotum di Miles, aveva selezionato da ogni serata i venti minuti standard dedicando una facciata ad ogni serata.

La scaletta dei quattro concerti si ripete quasi identica, partendo con "Directions", proseguendo con "The Mask" per poi passare alla funkeggiante "It’s About That Time", e confluire nel complicato "Bitches Brew" e concludersi con un brevissimo "The Theme".

Piccole variazioni su questo schema di base differenziano tra loro le quattro serata: la seconda aggiunge un prezioso bis come "Spanish Key"; nella terza e nella quarta compaiono brevi riflessioni sui temi di "I Fall In Love Too Easily" e "Sanctuary"; e l’ultima inserisce "Willie Nelson" (fresca distudio) nel finale.

Il lavoro di editing del disco, per creare delle differenze tra le varie facciate molto più evidenti rispetto alle effettive dovute all'estro differente delle varie serate, si è concentrato estrapolando momenti differenti per ogni serata, alterando anche la sequenza dei brani.Per anni è stato l'unico documento dei live al Fillmore, un documento molto alterato e quindi poco fedele alla ricostruzione delle serate.
Disco stranemente pubblicato doppio, a rischi di proporre a un pubblico poco preparato, musica piuttosto simile sulle varie facciate; sarebbe stato forse più logico pubblicarlo come singolo in versione più sintetica, ma il successo di "Bitches Brew" ha consigliato il contrario.
In ogni caso contiene grande musica.


b) "Live/Evil"
A novembre 1971 esce l'album doppio "Live/Evil": la Columbia gli ha appena firmato un contratto lucroso per tre anni per un totale di 300,000$ e vorrebbe ripetere il colpaccio di "Bitches Brew".
Ancora una volta c'è il tema della duplicità, fin dalla copertina, che Mati Klarwein esprime, su richiesta di Miles, raffigurando il bene e il male. Un'idea che rappresenta correttamente, in fondo la personalità di Davis, aggressivo e furente ma anche introspettivo e sensibile. Qui però diventa anche un gioco enigmistico con le parole lette al contrario:  Live/Evil; Sivad/Davis; Selim/Miles.
Il disco è duplice anche perchè riunisce registrazioni di studio (giugno) e dal vivo (dicembre, al Cellar Door di Washington) del 1970 e questi due aspetti un po' confliggono e contribuiscono a produrre un disco un po' sfuocato, mancante di un vero baricentro. Bella musica in un disco interlocutorio, forse inevitabilmente. E per la prima volta ascoltiamo Davis usare il pedale whawha.